venerdì 20 giugno 2008

La fillossera e l'emigrazione. Ricorda qualcosa a qulacuno?

Avevo dieci, dodici anni quando a Vinchio scoppiò il fenomeno dell’emigrazione. Faceva seguito alla miseria che si era abbattuta su tutti i paesi delle colline astigiane fino a toccare le Langhe,

dovunque arrivassero ad arrampicarsi i vigneti.

Alla miseria di sempre, ai troppi figli maschi su poche giornate di terra, ai prezzi insufficienti che si ricavavano dalla vendita dei prodotti della terra, si era aggiunto il tracollo della viticultura, unica, reale fonte di vita dei nostri paesi allora come oggi.

Il bacillo della filossera distruggeva vigneti rigogliosi con una voracità spaventosa e non c’erano anticrittogamici che valessero ad estinguerlo. Divorava le viti alla radice e le colline diventavano brulle d’estate come d’inverno. Era la fine. Quale maledizione? Il parroco aveva guidato invano tante processioni, si erano chiamati in causa i santi più influenti che altre volte avevano dimostrato una maggiore sensibilità e più spirito di iniziativa, ma tutto invano. La filossera avanzava tremenda da una vigna all’altra lasciando dietro di se i tronchi sterili e disseccati delle viti e le colline e la popolazione nella desolazione. Allora al paese non si parlava ancora dei trapianti di vitigni americani, ma anche se fosse già arrivata la scoperta, quanti, allora, al paese, potevano permettersi di spendere quanto una simile operazione avrebbe comportato?


Tratto da "I mè" di Davide Lajolo

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